La Patrona di Pescia - ⊂•⊃ Pesciantica

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La storia di Pescia


Santa Dorotea

di Carlo Lapucci

Dorotea nacque a Cesarea, città della Cappadocia, presumibilmente da famiglia cristiana e benestante. Di fatti fin da bambina si distingue per le opere di carità, straordinaria saggezza e purezza di cuore. La sua passio molto antica, ma integrata da molti elementi leggendari, fa capire che la fanciulla fu anche oggetto d'invidia da parte di molti, incapaci di giungere all'altezza delle sue virtù. Furono forse queste persone che fecero arrivare alle orecchie del tiranno le lodi che si facevano di Dorotea. Da qui s'innesca l'inquisizione, il processo e il supplizio che si ripete per quasi tutti gli antichi martiri. Incerta è la data del martirio. Gli antichi lo pongono nel 284; oggi si trova il 304, ma si tratta di sole congetture.

Si ha quindi l'idea che la persona sia realmente esistita, ma sfugge la possibilità di delinearne la precisa identità. Stando i fatti del suo martirio tra storia e leggenda, ciò che è stato impossibile agli storici lo hanno fatto i fedeli mettendo insieme gli elementi dell'agiografia e della tradizione, tanto che oggi abbiamo nella legenda e nella rappresentazione dell'arte un figura di grande suggestione, spiritualità e bellezza.

Dorotea nella venerazione è associata a Teofilo, prima suo persecutore, quindi convertito da lei al Cristianesimo e infine testimone della fede col martirio. Anche nella celebrazione del Martirologio Gerominiano i due sono associati, cadendo la loro commemorazione il 6 febbraio, data peraltro cancellata dal calendario liturgico dall'ultima riforma.

Il suo culto fu assai diffuso nel Medio Evo tanto da essere messa nel novero dei Santi Ausiliatori, la serie dei Santi particolarmente invocati in determinate occasioni e difficoltà. Si è creduto (e non è detto con sicurezza che non sia) che la Dorotea della passio sia la stessa di cui narra Eusebio nella Storia ecclesiastica (VIII, 14): anch'essa era di nobile famiglia, ricca, di grandi virtù. Di lei s'innamorò l'imperatore Massimino Daia il quale, respinto, la mandò in esilio togliendole ogni avere.

La leggenda
La storia di Dorotea è una vicenda di grande bellezza, tanto che, se si tratta di una leggenda, colui che l'ha ideata possedeva la genialità di un drammaturgo di grande livello e ha compiuto egli stesso un miracolo.
Le virtù per le quali la giovinetta Dorotea si distingueva nella città di Cesarea conducendo vita esemplare, soccorrendo i bisognosi e mostrando grazia e sapere, furono riferite al preside Sapricio che nella Cappadocia stava inquisendo i cristiani: si era durante la persecuzione di Diocleziano, crudele quant'altre mai. L'inquisitore volle subito esaminare Dorotea per vedere se era cristiana e, fattala prendere, la fece condurre al suo cospetto, ordinandole di sacrificare agli dei. Di fronte al rifiuto fermo e ripetuto di Dorotea, Sapricio la minacciò ponendola di fronte agli strumenti di tortura, ma la fanciulla non ebbe nessuna paura. Gli disse il tiranno:
– Non hai paura di vedere questi attrezzi terribili?
– No. Io ho paura di non vedere quello che invece voglio e desidero.
– E cosa vuoi vedere? – le chiese Sapricio.
– Voglio vedere – rispose la santa – Cristo Figlio di Dio.
– E dove abita costui? – gli domandò Sapricio.
– Egli abita nel giardino dell'Eternità, ornato di fiori meravigliosi che non sfioriscono mai, ricco di frutti bellissimi che mai deperiscono.

Visto che non veniva a capo di nulla il preside fece chiamare due sorelle cristiane che si erano piegate al volere sovrano ed avevano rinnegato Cristo. A queste, che si chiamavano Criste e Callista, Sapricio consegnò Dorotea perché la convincessero ad abiurare come avevano fatto loro.
Di lì a poco, invece di esser Dorotea a cambiare parere, furono le due donne che le si gettarono davanti in ginocchio, pregandola di far loro ottenere il perdono da Dio di quanto avevano fatto. Così, quando Sapricio chiese conto a Criste e a Callista del loro operato, esse con coraggio professarono di nuovo la fede cristiana. Andato su tutte le furie l'aguzzino fece preparare un grande fornace con un fuoco tremendo e vi fece gettare legate le due sorelle e queste vi morirono testimoniando la loro fede.

Questa volta il tiranno non si limitò a minacciare Dorotea, ma la sottopose a numerosi tormenti: le lacerò le giunture delle ossa stirandola con le corde, le fece bruciare i fianchi con le torce accese, ma incredibilmente la Santa manteneva la sua serenità, la sua fede, la sua compostezza e il suo sorriso. Al colmo del furore Sapricio ordinò che le dessero numerose percosse sul volto, acciocché sparisse quel sorriso che tanto lo irritava.

Alla fine furono tutti stanchi di quell'incrollabile tranquillità e i giudici emisero la sentenza di morte per decapitazione, cosa che la fanciulla accolse con gioia, ringraziando Cristo che la chiamava alle sue nozze.
Mentre veniva portata al martirio passò accanto allo scranno di un uomo di legge che aveva partecipato al processo e questi ricordando quello che essa aveva detto a proposito del giardino e dei frutti dove intendeva andare, la schernì dicendole:
– Dorotea, sposa di Cristo, quando vi troverete in quel bel giardino, fatemi avere delle rose e delle mele, che mi fareste grande piacere!
– Certo, non passerà molto tempo rispose Dorotea, che voi avrete quello che desiderate.
Quando la Santa fu davanti al ceppo del boia, chiese di poter avere un breve tempo per poter pregare e in quel mentre ecco che appare accanto a lei, senza sapere da dove fosse venuto, un fanciullo bellissimo che portava un cestello dove erano tre mele freschissime e belle e tre splendide rose. Dorotea gli disse:
– Vai da Teofilo e digli da parte mia che io gli mando quello che mi ha chiesto.

L'uomo di legge stava ancora scherzando con i colleghi della beffa che aveva fatto alla condannata, mentre il capo della Santa cadeva dal ceppo, quando ricevette quel dono inatteso. Cercò subito colui che l'aveva portato ma, essendo scomparso, comprese che era un essere soprannaturale e cominciò a ricredersi su colei che stavano martirizzando.
Cominciò a dire parole di pentimento e a chiedere perdono a Dorotea, per cui Sapricio, timoroso che il suo esempio portasse alla conversione altri pagani, lo fece porre sopra l'eculeo, un tormento che tiene il condannato sollevato da terra, legato per le braccia come in croce. Teofilo non volle abiurare, per cui anche a lui Sapricio fece tagliare la testa.

Il gesto di Dorotea
Molte delle Sante antiche, nelle loro passiones, vengono come sigillate, e quindi rappresentate, con un solo gesto, compiuto in genere durante il loro martirio. Le Sante martiri raramente parlano; se lo fanno si avverte con frequenza che i discorsi sono convenzionali, posticci, vale a dire aggiunti per edificazione dalle devote cure degli agiografi, i quali spesso ripetono luoghi comuni incapaci di smuovere appena la superficie dell'animo. I gesti no: quelli di solito hanno la probabilità di essere genuini, tanto s'incarnano nel personaggio e nella natura umana, da non essere affatto artificiosi o enfatici; anzi tanto significativi da contenere per intero il messaggio di un'esperienza, il senso di una vita.

È il caso del gesto di Dorotea: l'invio del cesto al giureconsulto Teofilo. Il cesto di fiori è forse l'omaggio più delicato e di maggior valore affettivo che si possa esprimere: lo si tributa ai grandi personaggi come ai morti più cari: il cuscino di fiori. Lo stesso può dirsi del cesto di frutta che, al di là del valore, è un tributo di affetto e di sottomissione devota, che parla attraverso la scelta di primizie o dei frutti più belli della raccolta, come si usava fare un tempo ai principi e ai sovrani.

Proprio per il loro valore più morale che venale, sono omaggi regali, dei grandi momenti di solito gioiosi, ma anche di grande intensità emotiva di natura diversa.
La figura giovane e bella di Dorotea ha la capacità di annodare allo strazio del martirio, della giovinezza troncata, della morte violenta, del sacrificio estremo per la fede, la gioia e la leggerezza di un incontro certo con lo Sposo celeste che l'attende. Da questa fede immensa nasce la serenità e la luce che produce, proprio nel momento del massimo dolore e della più grande angoscia, la gentilezza del dono al carnefice, la bellezza del dono stesso, la restituzione non solo di bene, ma anche di grazia, di delicatezza e d'amore per il male ricevuto con un gesto di suprema generosità, che va oltre il perdono, trascendendo, oserei dire la stessa natura umana.

Considerando la vicenda, reale o leggendaria poco importa, il gesto nel quale s'identifica Dorotea è l'elemento decisivo che muove l'animo del persecutore, del derisore, il quale rimane folgorato, non tanto dal miracolo di fiori e frutta nella stagione invernale, ma dal portento che una giovinetta, a un passo dal carnefice, possa superare le forza del rancore, della vendetta, dell'ira, con un dono di tanta bellezza. È la fede di Dorotea che ha mosso la montagna.

Gli attributi
Raffigurata in moltissime opere d'arte spesso ha attributi diversi.

Un cesto contenente fiori e frutti, che fu quello mandato al suo persecutore.

L'angelo che porta il cesto. A volte è un putto che la Santa tiene per mano. A volte è Gesù bambino.

Rose dentro un cesto. Rose che la Santa tiene nelle mani. Talvolta il cesto pieno di fiori viene offerto dalla Santa alla Vergine

Tre mele e tre rose, che sono quelle che si trovavano nel cesto secondo la passio.

Angeli incoronati di rose.

La palma del martirio.

Patrocini e protezioni
Dorotea è la Santa protettrice della città di Pescia. Scrive E. Nucci nella Guida storico-artisitiva di Pescia e Valdinievole (Pescia 1933
): «I patroni di Pescia sono S. Dorotea V. e M., che ricorda il 7 febbraio 1339 quando Porcello di Recho dei Cattani da Diacceto, Commissario della Repubblica fiorentina ne prendeva, insieme alle altre castella, possesso. Il Magistrato della città prende parte a questa festa di voto che si celebra nella Chiesa Collegiata dei SS. Stefano e Niccolao». L'altro patrono è S. Policronio.

Dorotea protegge in particolare, per la vicenda del cesto di fiori e di frutti, coloro che coltivano frutta e fiori, giardinieri, fiorai e quanti lavorano con fiori e frutta.

Per la sua purezza e l'offerta del cesto con frutta e fiori meravigliosi è patrona delle spose novelle, e dei giovani sposi in genere. Qualcuno fa risalire l'uso della sposa di tenere un mazzo di fiori in mano recandosi in chiesa alla vicenda di Santa Dorotea che tiene in mano un mazzo di fiori andando al martirio, all'unione con lo Sposo divino.

È patrona dei messi e dei messaggeri in quanto il suo cesto fu recapitato a Teofilo da un Angelo, se non addirittura, secondo alcune tradizioni dallo stesso Gesù giovinetto.

Il nome
Dorotea è il femminile di Doroteo, nome greco composto da due termini dorón e théos: dono di dio. Il nome ha lo stesso significato di Teodoro, Teodora, che hanno invertita la posizione degli elementi. Vicino a questo nome è Donato e Donata, che ha come significato sottinteso di Donato e Donata da Dio. I due nomi sono oggi pressoché dimenticati, mentre un tempo erano assai diffusi. Dorothée viene ancora imposto in Francia. Nel mondo anglosassone si usano Dorothéa e Dolly, che ne è l'abbreviazione. Lo stesso schema del nome nel significato di dono di dio si ha anche nei nomi ebraici di Nataniele, e Gionata.

Ha avuto fortuna nella letteratura: così si chiama la protagonista del poema di Goethe Ermanno e Dorotea e quella di un romanzo di Lope de Vega.

La festa è il 6 febbraio.

in suo onore la citta' di Pescia, per onorarla , vennero indette celebrazioni tra cui il Palio dei Berberi oggi Palio dei Rioni

 
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