Umberto Incerpi Beusi - ⊂•⊃ Pesciantica

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Pesciatini d.o.c.

              Umberto Incerpi, nelle sue funzioni di sindaco di Pescia(Anni Sessanta).

Umberto Incerpi

detto “Beusi”, eranato ad Uzzano, la cui numerosa famiglia scese presto a Pescia, in cerca di lavoro. Erano scalpellini che andavano
a cavare le pietre da un costone roccioso di Vellano: squadravano i macigni per sagomarli ai bei selciati stradali di Pescia. Questi operai, che ricordavano i famosi “maestri comacini” dell’alto medioevo, eseguivanoun lavoro duro, specie quando a colpi di scalpello, ripassavano le pietre logore dei selciati cittadini, danneggiate dal transito dei barrocci e dalla pioggia. La vo ra vano seduti per terra su una balla di juta e il capo protetto da un cappello di fogli di giornale. Ma l’Umberto, che era il più giovane della famiglia Incerpi, aveva ben altro che gli frullava per il capo. Egli viveva all’epoca in cui a Genova Filippo Tu rati con Emanuele Modigliani, Clau dio Treves e altre teste calde, con animo ardente, fondavano il Partito Socialista dei Lavoratori, attirandovi i caporioni del movimento Anarchico internazionale, da Michele Ba kunin, a Pie tro Gori, a Ernico Ma latesta e com pagnia bella: era l’anno 1892, a Pe scia nasceva l’Associazione di Pub blica Assistenza che subito raccolse i giovani lavoratori, volontari per ogni evenienza, aprendo la porta a una politica proletaria delle classi lavoratrici dimenticate, allora, da Dio e dai ricchi proprietari d’industrie e di terre. Umberto che aveva nel sangue la febbre socialista, decise di buttarsi nella lotta politica cittadina, senza alcun timore, sorretto e sospinto da una nuova “fede” che doveva liberare i lavoratori, schiavi di un potere politico intransigente e demogogico. Pe scia, all’inizio del secolo scorso affiancò i lavoratori delle officine, delle fabbriche,dell’agricoltura, che si difendevano uniti nelle leghe operaie e agricole. Compiutasi la tragica avventura della prima guerra mondiale, stava prendendo  campo il movimento nazionalista fondato a Milano, nel ’19 da Benito Mussolini. Esso era costituito da ex combattenti, giovani e arditi che marciavano al grido “A chi l’Italia!” “A noi!”, essi rispondevano; e percorrevano strade e piazze di paesi e città per mettere ordine nell’apparato disordinato dagli infiammati battibecchi tra gli opposti partiti politici. Anche a Pescia piombavano le squadre fasciste, specie da Firenze, perché qui i dibattiti politici finivano a cazzotti. Un giorno capitò una di queste squadre in camicia nera col fez (un berretto alla turca con una nappa che ciondolava muovendo il capo); avevano manganelli e chi un moschetto militare; s’accamparono in cima di piazza seduti per terra con le gambe incrociate e cantavano canzoni di guerra con sgarbata arroganza. Alcuni cittadini che passavano di li, tiravano di lungo rasentando i muri delle case, a passo rapido quasi in punta di piedi, le mani in tasca, i gomiti ritti, e alcuni con mezzo sigaro in bocca. Solo qualche donna capannaiola aveva il coraggio di fermarsi a guardare quei forestieri; alcune di esse abituate al berciare dalla finestra e nella strada della Bareglia, si fermavano sull’orlo del marciapiede con le mani sui grassi fianchi, per dire: “O ma che modi so’ cotesti? Oh icchè siete venuti a fa’, qui a Pescia’?”. “Siamo venuti a mettere ordine, che non vi va?’’. “Avete voglia di sgolarvi! Oh che prepotenze so’ coteste! Nun s’en’ mai viste di vederne di nove! perché nun andate a piglialvelo in tasca da quarch’altra parte?!”. Alcuni di quei giovanotti si mettevano a ridere, poi ripigliavano le vecchie canzoni di guerra e di lotta. Ma erano quasi tutti giovani sui 18/20 anni, dall’apparenza studenti, e sivedeva che erano figli della borghesia
Ma quando la lotta politica divenne più aspra e pericolosa, Umberto Incerpi, rifiutando ogni possibile compromesso, si dette alla “macchia”,verso il Rio de’ Faicchi, scendendo a Pescia rare volte per incontrare una sua sorella che viveva sola, all’ultimo piano, in una grande casa a mezzo di piazza Vittorio Emanuele. Un giorno in seguito ad una spiata, alcuni fascisti pesciatini, s’appostarono ne’ pressi del cantino della Misericordia, e attesero. L’Incerpi avvertì che quel giorno qualcosa andava storto: uscendo di casa infilò lestamente il cantino per fuggire di filato in via Forti inseguito da tre o quattro eroi del manganello; all’altezza del Municipio svoltò improvvisamente trovandosi in cima di piazza dove stava sostando, casualmente una vettura tranviaria in attesa dell’orario di partenza. I due tranvieri quando videro l’Incerpi infilarsi nella loro vettura capirono l’antifona e senza aspettare l’orario di partenza, misero in moto la vettura, beffando gli inseguitori che rinunciarono all’impresa. Una seconda volta l’Incerpi fu inseguito dietro San Francesco, ma in quel la fuga affannata inciampò e cadde: gli inseguitori gli furono addosso; oltre alle manganellate, uno di essi sparò una rivoltellata, il cui proiettile rimbalzando su una pietra prese di striscio il capo dell’Incerpi ferendolo e lasciandolo lungo disteso nella polvere proprio davanti all’orto di Pitena, mentre quei giovani scalmanati fuggirono berciando e cantando una canzonaccia squallida e insultante. Un giorno l’intrepido maestro Carlo Pancani decise di recarsi a Firenze nello studio legale dell’On. Gustavo Consolo, con il compagno Incerpi; do vevano partecipare a un incontro “clandestino” di alcuni, sparuti socialisti toscani. Scoperti dalla solita spiata, i fascisti – quelli, per intendersi della “Disperata” di Amerigo Dumini – s’appostarono nella strada in attesa che quei “sovversivi” si facessero vivi. Essi, di fatto, sull’imbrunire, uscirono alla spicciolata da quella riunione clandestina, disperdendosi nel via vai della folla. Umberto Incerpi, a quel tempo, assai giovane, riuscì a sfuggire dalle grinfie degli scalmanati inseguitori; alcuni cittadini col cappello sulle ventitré tirato sulla nuca, tentarono di mettersi in mezzo, mentre il fuggiasco col fiato oramai corto, s’infilò rapidamente in una chiesa affannato e stravolto; il sacerdote interruppe per un attimo la funzione religiosa che riprese immediatamente, avendo capito cosa stava succedendo a quel giovanotto mai visto e conosciuto, essendo tempi che, per la propria idea politica molti, specie a Firenze, si randellavano di santa ragione; starsene alla finestra era davvero difficile. Sulla sera l’Incerpi, cautamente, rigido e impettito s’avviò verso la stazione ferroviaria di Santa Maria Novella dove aveva l’appuntamento col Pan cani per tornarsene a casa. Ma del Pancani nemmeno l’ombra. Tuttavia, sotto la pensilina, il Beusi, si avvicinò a un piccolo gruppo di viaggiatori che parlottavano dandosi da fare attorno a delle fontanelle. E proprio li, in mezzo a quei viaggiatori, c’era il Pan cani che lo aiutavano a lavarsi il viso insanguinato dalla botte ricevute per via.8 settembre 1944. La seconda guerra mondiale era passata da Pescia come un dannato vento nero; ma ormai i pesciatini ne erano fuori: cantavano,ballavano, erano allegri, si abbracciavano anche tra gente sconosciuta, si abbracciavano, e tutto ciò anche se erano sporchi, affamati, taluni vestiti di stracci: ma cosa importava dopo tre anni di fame, di epidemie, di feroci bombardamenti, di micidiali rastrellamenti delle SS germaniche, accettando perfino di essere un popolo vinto, ed abbracciavano i vincitori; mentre le ragazze, uscite dai loro covi, mandavano baci a quei buoni soldati che avevano attraversato l’Oceano Atlantico per venirle a liberare. Pareva che i pesciatini, e forse altri della Valdinievole, quasi non volessero sentirsi un popolo vinto. Perciò continuavano a cantare, a ballare con quei liberatori attoniti e sorpresi. Intanto il CLN, di cui l’Incerpi ne era l’anima fervente, accettò che il Sindaco della città, lo designassero gli Alleati vincitori. E fu Mario Giaccai il primo Sindaco della Liberazione che però si dimise quasi subito. Il CLN allora, designò Ferruccio Tongiorgi, mentre Umberto Incerpi assunse l’incarico di Assessore ai Lavori pubblici e mise insieme i suoi concittadini, che armati di pale e badili, ripulirono le strade dalle macerie delle case che i tedeschi fuggendo, avevano fatto saltare minandole, senza nemmeno avvertire alcuni vecchi inquilini che l’abitavano. E anche i tre ponti anch’essi distrutti dovevano essere ricostruiti a cominciare, secondo il Beusi, dal ponte antico di Santa Maria che riuniva i quartieri storici del Duomo con la Bareglia. In seguito Umberto Incerpi, pur avendo aderito alla scissione socialista di Palazzo Barberini, del 1947, era l’uomo a cui molti cittadini si rivolgevano.Fu sempre tra i pubblici amministratori pesciatini: alle elezioni amministrative del ’61 fu eletto Sindaco della città e, di nuovo, a quelle del ’64; s’impegnò tra critiche aspre e risse malevoli che specie durante i consigli comunali accendevano quelle riunioni, finchè nel Settembre del 1965 fu sostituito da Nilo Silvestri. Chi fu insomma Umberto Incerpi? Fu un uomo che visse una vita assai difficile, complessa, che soltanto per la sua incrollabile fede politica poté sopportare. Durante gli anni giovanili fu ardente marxista, convinto e appassionato, tanto da firmare i suoi stel loncini’ politici sul “Il Ri sve glio” ocialista con lo pseudonimo ‘il Bolscevico’. Credette nel marxismo, nel suo messaggio salvifico per la nascita di una nuova società interamente umana e unificata. In seguito caddero le sue illusioni, e con grande passione si ribellò allo stalinismo che dominava la vita sovietica e quella dei paesi satelliti. Questa presa di coscienza ideale lo condusse a difendere con altrettanto coraggio le autentiche libertà civili e politiche, rafforzando anzi, la sua fede nel socialismo democratico: “quell’idea – diceva – che vivrà finchè il sole splenderà sulle sciagure umane”.


di Giovanni Nocentini tratto da nebulae



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